Emergenza Coronavirus e Locazione

L’emergenza sanitaria in corso  spesso comporta la necessità e suggerisce l’opportunità per inquilini e proprietari di rinegoziare i termini contrattuali per la locazione di immobili sia abitativi sia commerciali. L’argomento giuridico dirimente è in che modo e attraverso quali strumenti gli inquilini possano far valere contrattualmente l’eventuale momentanea difficoltà economica in cui versino che impedisce loro di pagare regolarmente il canone. In molti hanno già utilizzato la formula “causa di forza maggiore” benché il nostro ordinamento non ne fornisca una precisa definizione. Vi sono più istituti utilizzabili in sede contrattuale e ognuno risponde a una o più esigenze diverse; attraverso questi veicoli normativi è auspicabile che locatori e conduttori addivengano a soluzioni di compromesso, tenendo conto delle rispettive necessità.


In questo periodo di emergenza Coronavirus un problema già sollevato da più parti è relativo al perdurare o meno dell'obbligo in capo ai conduttori di adempiere al pagamento dei canoni di locazione. Se tale interrogativo si è immediatamente posto in relazione alla locazione di immobili destinati all’esercizio delle attività che sono obbligatoriamente sospese per effetto dei provvedimenti governativi non si può escludere che ciò sorgerà nelle prossime settimane anche per le locazioni abitative qualora, con il perdurare delle limitazioni imposte per contrastare l’emergenza sanitaria da COVID-19, molti conduttori – a fronte di una riduzione del proprio reddito – si troveranno nella difficoltà di pagare il canone di locazione anche delle abitazioni.

In questi giorni si è già in presenza di richieste di rinegoziazione da parte di molti conduttori ai propri locatori per individuare soluzioni di compromesso che tengano conto della particolare situazione in essere.

È inoltre ragionevole prevedere l’insorgenza di numerosi conteziosi aventi a oggetto i canoni di locazione non versati sia per decisione unilaterale dei conduttori sia a seguito di accordo con i locatori limitato però alla sola sospensione temporanea del versamento dei canoni e non alla loro definitiva rinuncia.

È quindi opportuno cercare di fornire un inquadramento giuridico, applicabile nello specifico ai contratti di locazione ad uso diverso dall’abitativo, dell’istituto della “causa di forza maggiore” dovuta dall’emergenza Coronavirus. È necessario premettere che nell’ordinamento giuridico civile italiano non esiste una definizione di “causa di forza maggiore”.

Essa può essere tratta dal diritto comunitario, all'Articolo 79 della Convention on Contracts for the International Sale of Goods (cd. CISG o Convenzione di Vienna) il quale, al comma 1, stabilisce che “Una parte non è responsabile dell'inadempienza di uno qualsiasi dei suoi obblighi se prova che tale inadempienza è dovuta a un impedimento indipendente dalla sua volontà e che non ci si poteva ragionevolmente attendere che essa lo prendesse in considerazione al momento della conclusione del contratto, che lo prevedesse o lo superasse, o che ne prevedesse o ne superasse le conseguenze”.

In altri termini la definizione di “forza maggiore” contenuta nella Convenzione di Vienna corrisponde a una situazione completamente indipendente dalla volontà delle parti contrattuali e non prevedibile al momento della conclusione del contratto. Una volta verificatosi questo evento e avveratesi tali condizioni è previsto l’esonero di responsabilità del debitore il quale, normalmente, sarebbe invece da considerarsi inadempiente nei confronti del creditore.

Pur in mancanza di una specifica disciplina della forza maggiore nell’ordinamento giuridico italiano vi sono alcune previsioni normative che potrebbero trovare applicazione nella particolare situazione in essere.

Recesso dal contratto

L’art. 27 della legge n. 392/78, ultimo comma, prevede: “Indipendentemente dalle previsioni contrattuali il conduttore, qualora ricorrano gravi motivi, può recedere in qualsiasi momento dal contratto con preavviso di almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata”.

La Corte di Cassazione Sezione III Civ. nella sentenza n. 23639 del 24.9.2019 ha affermato che le ragioni che consentono al conduttore di liberarsi in anticipo dal vincolo contrattuale devono essere determinate da avvenimenti estranei alla sua volontà, imprevedibili e sopravvenuti alla costituzione del rapporto, tali da renderne oltremodo gravosa la prosecuzione. Ha anche precisato che la gravosità di tale prosecuzione deve avere connotazione oggettiva. Sotto tale profilo la situazione di emergenza sanitaria in cui ci troviamo è, fuor di dubbio, estranea alla volontà delle parti, imprevedibile e sopravvenuta alla conclusione dei contratti di locazione.

Tuttavia adottare tale soluzione comporta la cessazione del rapporto contrattuale ed è quindi percorribile solo da coloro che già ipotizzavano di chiudere l’attività in modo definitivo o che hanno maturato tale decisione a seguito dell’attuale tale crisi sanitaria, oppure da coloro che vogliano trasferire l’attività presso un immobile più piccolo o meno centrale, così da risparmiare sul canone di locazione.

In tale ipotesi il canone di locazione dovrà essere comunque corrisposto per tutto il semestre di preavviso.

Impossibilità sopravvenuta della prestazione

Ai sensi dell’art. 1463 Codice civile nei contratti con prestazioni corrispettive (quale è la locazione) la parte liberata per la sopravvenuta impossibilità della sua prestazione non può chiedere la controprestazione, con la conseguente risoluzione del contratto; nel caso di impossibilità solo parziale ha diritto a una riduzione della prestazione dovuta (art. 1464 Codice civile).

L’art. 1256 Codice civile stabilisce che l’obbligazione si estingue quando per una causa non imputabile al debitore la prestazione diventa impossibile; al secondo comma prevede che se l’impossibilità di adempiere alla prestazione è solo temporanea il debitore non potrà essere ritenuto responsabile per il ritardo dell’adempimento.

Tale esenzione di responsabilità è richiamata anche dall’art. 91 del Decreto Legge 17.3.2020 n. 18 (c.d. “Cura Italia”) secondo il quale “Il rispetto delle misure di contenimento di cui al presente Decreto è sempre valutata ai fini dell'esclusione, ai sensi e per gli effetti degli articoli 1218 e 1223 c.c., della responsabilità del debitore, anche relativamente all'applicazione di eventuali decadenze o penali connesse a ritardati o omessi adempimenti.".

L’art. 1218 Codice civile prevede la responsabilità del debitore per l’inadempimento o il ritardo nell’adempimento della sua prestazione, se questo non è a lui imputabile, mentre il successivo art. 1223 disciplina la liquidazione del danno risarcibile.

È quindi necessario preliminarmente ricordare che le principali obbligazioni a carico delle parti sono per il locatore (art. 1575 Codice civile) consegnare al conduttore la cosa locata in buono stato di manutenzione, mantenerla in stato da servire all’uso convenuto e garantirne il pacifico godimento durante la locazione; e per il conduttore (art. 1587 Codice civile) prendere in consegna la cosa servendosene per l’uso determinato e pagare il corrispettivo pattuito nei termini convenuti.

Si tratta quindi di verificare se rispetto a tali obbligazioni possa configurarsi una “causa di forza maggiore” che ne impedisca l’adempimento.

Qualora si qualificasse l’attuale situazione come sopravvenuta impossibilità totale della prestazione, con riferimento a quella a carico del locatore o a quella a carico del conduttore, il contratto si risolverebbe con il conseguente obbligo del conduttore di rilasciare l’immobile; ciò comporterebbe il vantaggio di evitare il pagamento del canone per il periodo semestrale di preavviso di cui all’art. 27 Legge n. 392/78 ma lo priverebbe definitivamente della disponibilità dell’immobile.

Qualora fosse configurabile la sopravvenuta impossibilità parziale della prestazione (art. 1258 Codice civile) costituita dal ridotto godimento dell’immobile da un lato o dalla limitata redditività dell’attività dall’altro, il conduttore potrebbe chiedere la riduzione del canone solo limitatamente al periodo dell’emergenza; qualora invece si qualificasse l’attuale situazione come sopravvenuta impossibilità temporanea (art. 1256, II comma, Codice civile), il conduttore non sarebbe responsabile del ritardo, ma resterebbe comunque debitore dell’intero canone.

Ci si deve quindi innanzitutto domandare se nell’attuale situazione di emergenza sia configurabile l’impossibilità della prestazione avente per oggetto il godimento dell’immobile.

La Corte di Cassazione, con sentenza 8.6.2018 n. 14915, ha affermato: “La liberazione del debitore per sopravvenuta impossibilità della prestazione può verificarsi, secondo la previsione degli artt. 1218 e 1256 c.c., solo se e in quanto concorrano l'elemento obiettivo della impossibilità di eseguire la prestazione medesima, in sé considerata, e quello soggettivo dell'assenza di colpa da parte del debitore riguardo alla determinazione dell'evento che ha reso impossibile la prestazione”.

Tale impossibilità non ricorre solo nel caso in cui sia divenuta impossibile l’esecuzione della prestazione del debitore (nel nostro caso il locatore) ma anche nel caso in cui sia divenuta impossibile l’utilizzazione della prestazione della controparte (il conduttore) quando tale impossibilità sia comunque non imputabile al creditore e il suo interesse a riceverla sia venuto meno (Corte di Cassazione sentenza 10.7.2018 n. 18047). Nel caso della locazione, per potere ritenere applicabile l’art. 1256 c.c. si dovrebbe affermare che le limitazioni imposte dal legislatore devono intendersi come ostative al godimento dell’immobile concesso in locazione per l’utilizzo stabilito nel contratto (ad esempio bar-ristorante).

Tuttavia, a nostro parere, tale impostazione non è totalmente condivisibile: nel contratto di locazione l’obbligazione che sorge in capo al locatore è quella di garantire il godimento di un determinato bene a un altro soggetto, contro la corresponsione di un canone. Le limitazioni imposte all’esercizio delle attività commerciali non impediscono di per sé tale godimento ma tutt’al più impediscono la realizzazione dello scopo per cui tale immobile è adibito. Il locatore, salvo diversa previsione contrattuale, generalmente garantisce solo l’idoneità dell’immobile concesso in locazione all’esercizio di una determinata attività ma non il suo effettivo esercizio che può dipendere anche da altri elementi (licenze commerciali, autorizzazioni sanitarie, requisiti personali dell’esercente…) che non sono oggetto delle obbligazioni o delle garanzie contrattuali.

In conclusione quindi non è così pacifico che le limitazioni all’esercizio delle attività commerciali sostanzino un’impossibilità sopravvenuta di usufruire del godimento della cosa data in locazione in quanto il locatore, anche in assenza di esercizio dell’attività commerciale, garantisce il godimento della cosa locata al conduttore che continua a disporre dell’immobile nel quale sono probabilmente presenti attrezzature, arredi, impianti, merci e altri beni di sua proprietà.

Con riferimento invece all’impossibilità sopravvenuta a adempiere da parte del conduttore si deve osservare che il pagamento del canone non è impedito da alcuna disposizione di legge, né di per sé tale prestazione è impossibile.

Potrebbe essere considerata la sua momentanea difficoltà finanziaria a seguito del venire meno dei ricavi per effetto della forzata sospensione dell’attività; a tale riguardo si deve però osservare che le ragioni del mancato pagamento del canone di locazione non fanno venire meno l’obbligo della sua corresponsione né sono ostative alla pronuncia della convalida di sfratto per morosità, potendo essere valutate dal Giudice solo al fine della fissazione della data di esecuzione del provvedimento di rilascio (art. 56 Legge n. 392/78).

Si deve peraltro rilevare che l’art. 65 del Decreto Legge 17.3.2020 n. 18 ha riconosciuto ai conduttori di un immobile della categoria catastale C/1 (negozi e botteghe) un credito di imposta nella misura del 60% del canone di locazione del mese di marzo 2020; tale disposizione di legge, seppure limitata, per il momento, al solo mese di marzo e ai soli negozi, conferma che il canone di locazione è interamente dovuto; sarebbe infatti irragionevole riconoscere un credito d’imposta su un importo non più dovuto.

Eccessiva onerosità

Il conduttore potrebbe invocare l’art. 1467 Codice civile il quale stabilisce che “Nei contratti a esecuzione continuata o periodica, ovvero a esecuzione differita, se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili, la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto, con gli effetti stabiliti dall'articolo 1458. La risoluzione non può essere domandata se la sopravvenuta onerosità rientra nell'alea normale del contratto. La parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto”.

Tale ipotesi consente al debitore di chiedere la risoluzione del contratto a causa della eccessiva onerosità sopravvenuta nell’adempimento della prestazione, nel nostro caso al locatore per il pagamento del canone. Per eccessiva onerosità della prestazione di una delle parti si intende la rottura del rapporto di corrispettività economica tra i due arricchimenti delle parti: il che si verifica quando venga a esservi eccessivo squilibrio tra l’utilità di una prestazione e quella della controprestazione.

Si deve qui pertanto prescindere da ogni considerazione sulle condizioni particolari del debitore o su impedimenti sopravvenuti nella sua sfera patrimoniale: si deve aver riguardo unicamente al contenuto intrinseco della prestazione rispetto al contenuto intrinseco della controprestazione. Infatti, l'art. 1467 Codice civile parla di prestazione divenuta eccessivamente onerosa e non di prestazione divenuta tale per una delle parti.

Lo squilibrio ha da dirsi eccessivo (vale a dire: si ha rottura del rapporto di corrispettività economica tra i due arricchimenti) quando lo scarto tra le utilità di una prestazione e le utilità della controprestazione sia tale che (nei riguardi di un contraente) debba ritenersi frustrato lo scopo perseguito con il contratto stesso; venga cioè a mancare per detto contraente l'interesse all'esistenza di quel contratto.

Nel caso di specie quindi dovrà ragionarsi se la mancanza di liquidità, dovuta alla impossibilità di svolgere regolarmente la propria attività lavorativa sia da considerarsi un aspetto meramente soggettivo del debitore, oppure sia la prestazione in sé che ha assunto vesti eccessivamente onerose tali da far venire meno l’utilità del conduttore a pagare il canone d’affitto per i mesi in cui sono in essere le limitazioni.

In tal caso comunque il conduttore potrà richiedere unicamente la risoluzione del contratto; sarà poi facoltà del locatore, per evitare la risoluzione, presentare un’offerta (riduzione del canone di locazione) tesa a riequilibrare l’onerosità della prestazione e della controprestazione.

Siamo a disposizione per chiarimenti e approfondimenti.

Avv. Stefano Legnani
Dott. Carlo Testoni



Como, 6 aprile 2020